Meritocrazia: un problema per gli adolescenti?
Fa riflettere il sondaggio a cui hanno partecipato oltre 500 studenti del liceo classico Berchet di Milano: il 57% ha dichiarato di soffrire di stress e ansia a causa della scuola e il 53% sente una forte pressione da parte degli insegnanti.
Anche al liceo classico Manzoni di Milano è stato fatto un sondaggio un paio di mesi fa, compilato da 434 allievi. Il 59% percepiva un «clima opprimente e soffocante a scuola», il 71% affermava di sentirsi sempre o spesso «sotto pressione a causa del ritmo scolastico», mentre il 61,5% diceva di sentirsi «classificato solo in base ai risultati e costretto a raggiungere l’eccellenza».
Non è tanto il valore numerico di questi sondaggi che dovrebbe far riflettere, piuttosto le motivazioni che legano il disagio di questo liceo con altri licei italiani.
Gli studenti del liceo Minghetti di Bologna hanno dichiarato: “Stiamo tutti male, la maggior parte degli alunni qui è in cura da psicologi”.
La frase incriminata
Secondo gli studenti del Minghetti, la causa di tutto ciò sarebbe “di un sistema scolastico che punta troppo sul merito“.
Ecco, questa frase può lasciare di stucco se decontestualizzata come piace fare alle varie specie di guru social o ai giornalisti dal like facile.
In primo luogo, la cosa da evidenziare è che si tratta di adolescenti. Sono in piena fase di crescita. Tutti lo siamo stati e tutti sappiamo quanto è complesso affrontare quel periodo.
Quanto detto da questi ragazzi è assolutamente da ascoltare per aprire un dialogo con loro.
E’ assolutamente sbagliato e denigratorio puntar loro il dito contro, soprattutto da parte di chi crede di trovarsi davanti un adulto con cui fare polemica televisiva o social.
Sono adolescenti che vanno aiutati, accompagnati, a capire come funziona il mondo, soprattutto quello del lavoro, che è competitivo ed a volte spietato.
La scuola invece dovrebbe essere un luogo protetto dove i nostri figli possano imparare ad essere la classe dirigente di domani (e che ci pagherà le pensioni, lo dico da quarantenne).
La meritocrazia quindi non è IL problema sollevato da questi ragazzi. Invece credo che sia ciò che percepiscono essere il problema.
Prendere questa frase come lapidaria e decontestualizzata di ciò che pensano gli adolescenti, significherebbe abbandonarli a loro stessi dicendo loro: “Cari ragazzi, se diventerete un NEET e un domani sarete poveri, allora sarà solo e soltanto colpa vostra“.
Conclusioni
Questa sarebbe una soluzione comoda per gli “adulti” irresponsabili che così facendo scaricherebbero su di loro una responsabilità che invece sarebbe nostra, cioè della società adulta.
E’ nostra perché i NEET sono un problema che ci riguarda, altrimenti non sarebbe indicata come “al centro del programma politico dell’UE” ad esempio. Nel 2021, in Italia, la quota di Neet sul totale dei 15-29enni è pari al 23,1%, ben 10 PUNTI percentuali sopra la media europea.
E’ nostra perché è compito della scuola e dei genitori educare, in modo consono all’età, al valore della responsabilità individuale ed a prendere gli insegnamenti scolastici come un percorso, prima obbligatorio ed inseguito caldamente raccomandato, durante tutta la vita (come nel sistema finlandese ad esempio, dove ci sono anche percorsi “non scolastici” per adulti).
E’ nostra perché è compito della politica migliorare il sistema scolastico pubblico, ad esempio adeguando gli stipendi degli insegnati alla media europea, dove l’Italia si colloca in 12esima posizione su 19 Paesi dell’Eurozona come stipendio medio secondo un report dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (e se rapportato al PIL pro-capite la situazione è ancora peggiore).
E’ secondo me rischioso pensare in termini puramente economico-finanziari e di turbo-produttività fine a se stessa. E’ vero che in Italia abbiamo un lento aumento della produttività rispetto ad altri Paesi europei ma da qui a sostenere, più o meno esplicitamente, che gli adolescenti devono imparare a loro spese che la nostra vita è uguale alla nostra produttività, ce ne corre.
A mio parere è ora di iniziare a pensare in modo più “umanista” per rendere la nostra società più sostenibile e adottare un bilanciamento adeguato lavoro-vita, anche al fine di ridurre il tasso di suicidi che coinvolge anche gli studenti (vedere i casi in cui fingono di laurearsi e si tolgono la vita per la vergogna o altri motivi ad esempio).
In Italia avvengono circa 4.000 suicidi l’anno e il filo che lega tutti i fattori di rischio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro.
Ma forse c’è qualche guru che pensa sia giusto così (senza dirlo esplicitamente, non sia mai). Magari pensa anche che il caso dei suicidi degli studenti in difficoltà che fingono di laurearsi, seguendo il ragionamento, sarebbero solo di gente “improduttiva” che avrebbe la fine inevitabile che merita.
Ultima modifica di questo articolo: 31 Marzo 2023