DDL Concorrenza 2023 (agosto 2024)
Alcuni commenti sulla prima versione del DDL Concorrenza, perché penso che le misure contenute nel DDL in materia di startup siano insufficienti ed in alcuni casi peggiorative della situazione attuale.
Pdf scaricabile qui: DDL-CONCORRENZA-BOLLINATO-VERSIONE-DEFINITIVA.pdf
Prendo in esame, in particolare, due degli articoli che riguardano le startup.
ARTICOLO 24
L’articolo 24 tenta di riportare ordine nel registro delle startup innovative, già unicum burocratico mondiale, ma lo fa sbagliando concetto.
Il registro delle startup innovative serve appositamente ad identificare le aziende in grado di fare innovazione, giusto? In teoria servirebbe a dare incentivi fiscali per agevolare la nascita e la crescita di imprese potenzialmente in grado di portare una innovazione dirompente e quindi identificare le startup meritevoli di queste agevolazioni.
L’idea geniale del Governo per riportare ordine e meritocrazia in questo registro, è stata quella di portare il concetto di identificazione di una “startup innovativa” all’estrema ratio dei criteri quantitativi: il capitale sociale sottoscritto deve essere almeno 20.000 euro ed avere almeno un dipendente.
Cioè se non sei disposto a rischiare soldi, compreso lo stipendio di un dipendente (su questo ci torno dopo), allora non sei in grado di fare innovazione.
In sostanza, per essere “meritevole” devi avere soldi, fine.
L’intento del Governo è quello di sostenere un nesso causale tra capacità di fare innovazione e capitale iniziale a disposizione dei founder. Perché se alzi l’asticella del capitale sociale e ci aggiungi lo stipendio di un dipendente per definire chi sia una “startup innovativa” significa che credi che per fare innovazione per prima cosa devi avere soldi.
Ma davvero TUTTE le startup innovative, identificabili come tali, devono avere soldi per fare innovazione?
Ecco, alcuni dati sul capitale sociale, reperibili dalle camere di commercio o dalle relazioni del MIMiT, da tenere in mente:
- vero che il 70% delle startup iscritte al registro hanno meno di 20.000 euro di capitale sociale e circa il 62% non ha dipendenti;
- altrettanto vero che i fondatori di Scalapay [sono nati in Italia. nda] hanno fallito insieme su 3 progetti precedenti e hanno fondato la startup nel 2019 con 1.000 (sic) euro di capitale sociale sottoscritto, oggi vale oltre un miliardo di euro;
- ed è vero che Bending Spoons [sono nati in Italia. nda] nel 2017 aveva un capitale sociale sottoscritto a 10.000 euro, oggi vale oltre 2,5 miliardi di euro.
Certo, i soldi “aiutano” in tanti aspetti e fare bootstrapping è una sfida enorme di per sé e la mancanza di fondi pre-seed decenti in Italia è sicuramente una delle cause di fallimento prematuro di progetti o di emigrazione di molti founders. Soprattutto per le startup deep tech che sono per definizione ad alta intensità di capitale avendo un ciclo di sviluppo più lungo.
Ma questo non giustifica l’adozione di un criterio “monetario” per aiutare a identificare le startup “meritevoli”.
La storia ci insegna che avere montagne di capitali a disposizione non porta automaticamente ad avere innovazioni che restano e che hanno mercato. Ci sono centinaia di storie in questo senso.
Dovremmo prendere coscienza, e se vuoi governare un paese DEVI accettarlo, che fare startup e innovazione significa fallire spesso, indipendentemente dal capitale, per i motivi che ho espresso in precedenza.
Uno studio su 46 anni di investimenti in VC, ha trovato che le probabilità di successo di una startup al primo tentativo è solo del 10%.
Di conseguenza è necessario tentare nuove strade altrettanto spesso. E per ogni nuova strada non deve essere obbligatorio sostenere migliaia e migliaia di euro di spese burocratiche.
Le startup nascono per validare un modello di business attorno ad un’idea di prodotto o servizio, scalabile e replicabile, che tenta di ottenere consenso di mercato. Pensate al concetto di ipotesi XYZ: almeno X% di Y farà Z.
Ma è proprio su questo primo step di validazione che sarebbero utilissimi gli aiuti di un registro speciale, che dovrebbe servire proprio a snellire burocrazia e costi di avviamento, NON ad aiutare esclusivamente le startup “meritevoli” dove per “meritevole” si intende avere soldi da spendere.
Un registro per le startup così fatto non ha alcun senso.
Se lo Stato volesse aiutare a fare innovazione, allora dovrebbe abbattere le barriere burocratiche, non dovrebbe crearne di nuove!
A pensar male, sembra anche una marchetta per ridurre il lavoro delle camere di commercio, quello si, a conti fatti aiuterebbe a lavorare di meno a parità di stipendi erogati perché le startup innovative nel registro si riducono…
Per finire l’analisi in bellezza, arriviamo alla questione del dipendente obbligatorio.
Questa clausola a mio avviso ha sostanzialmente due sbocchi:
1- fare contenta l’INPS che potrà così incassare la gestione artigiani o commercianti del socio amministratore e lavoratore (minimale intorno ai 4.000 / 4.500 euro l’anno), il quale avrà l’onere di auto-pagarsi lo stipendio, obbligatorio, qualora sia possibile inquadrarlo nel doppio ruolo di amministratore e dipendente.
2- in alternativa, il/i founder dovranno assumersi un’onere ancora più grande, assumendo una persona terza come dipendente, che, come minimo, dovranno contrattualizzare per un anno intero rischiando ben più di 20.000 euro considerando tutti i costi annessi.
Comunque sia, anche in questo caso non emerge da nessuna parte un nesso tra avere formalmente un dipendente e capacità di fare innovazione.
Se la prima causa di fallimento di una startup è la mancanza di soldi, allora questa norma spingerebbe il 62% delle startup iscritte al registro proprio in quella direzione, facendogli inutilmente bruciare cassa in tasse e contributi.
Quindi, non sono d’accordo sull’obbligo di avere un dipendente, in quanto trattasi di un inutile dispendio di capitale come regalo alle casse dell’INPS.
Anzi, proprio per questa mia convinzione sarei favorevole all’abolizione in toto del minimale contributivo a carico dei soci lavoratori per le startup, i quali dovrebbero concentrare i propri capitali (tanti o pochi che siano) nel far partire la startup e non nel fare da business angels all’INPS. Se durante l’avviamento della startup volessi versare contributi all’INPS potrei farlo tramite contribuzione volontaria, nessuno me lo vieterebbe.
E non sono d’accordo nemmeno con l’obbligo di capitale sociale sottoscritto minimo a 20.000 euro, perché vorrei un Governo in grado di abbattere la burocrazia e agevolare la libertà d’impresa, tenuto conto che in UK con 18 euro si può aprire una LTD senza obbligo di versare alcunché come capitale sociale.
Proposta alternativa
Ma sull’obbligo del capitale sociale voglio essere ragionevole.
Se proprio volessimo mantenere tale barriera all’ingresso, senza senso, dovremmo almeno concedere la libertà di fare “pivot”, cioè tentare una nuova strada quando la vecchia non funziona, con tali soldi messi sul piatto.
Ossia, dobbiamo concedere totale libertà, a costo di zero e con procedure totalmente informatizzate (senza l’intermediazione umana) di richiedere: modifica l’oggetto sociale; spostare la sede legale o operativa fuori dal Comune di partenza; modifica della ragione sociale.
[Come avviene oggi a seguito della modifica dello statuto, la camera di commercio di competenza dovrà valutare il nuovo oggetto sociale per le startup iscritte al registro. Cioè la stessa operazione che avviene all’atto di prima iscrizione al registro. Inoltre oggi il notaio è obbligatorio per tutte queste operazioni. nda]
In sostanza dovremmo fare in modo che il founder possa tentare una nuova strada senza ulteriori costi, perché sarebbe il capitale sociale a fare da “bacino monetario” quale riferimento della “capacità” di spesa (e, secondo il Governo, anche come capacità di innovazione).
Questo approccio consentirebbe di avere un unico veicolo societario, flessibile quanto basta per tentare più strade senza necessità di spendere migliaia di euro in inutile burocrazia per aprire, chiudere o spostare le società.
L’obiettivo ultimo è lasciare che i founder si concentrino il più possibile alla loro startup e non alla burocrazia necessaria per avviarla o sostenerla.
Per concludere il ragionamento, ricordiamoci che per favorire la nascita di una nuova impresa, dovremmo guardare ad esempio agli standard auspicati dall’UE per l’apertura di nuove imprese:
- limite massimo di 3 giorni lavorativi per creare un’impresa;
- costo inferiore ai 100 euro;
- un unico organo amministrativo competente per tutte le procedure;
- possibilità di completare tutte le formalità di registrazione online;
- possibilità di registrare una società in un altro paese dell’UE online (mediante gli sportelli unici nazionali).
Conclusioni
Quindi il Governo ha azzerato l’utilità, già discutibile, del registro delle startup innovative.
Facendo due errori macroscopici:
- Aumento del capitale sociale minimo per ottenere le agevolazioni fiscali ed essere più appetibile agli investitori, quando è proprio la fase iniziale, cioè di pre-seed, che è più difficile raccogliere fondi e quindi la permanenza nel registro dovrebbe essere agevolata;
- Obbligo di assumere un dipendente, con conseguente obbligo di versare tasse e contributi, oppure versare migliaia di euro all’INPS in gestione artigiani o commercianti nel caso del socio-lavoratore.
Nessuno dei due punti agevola la vita delle startup italiane, già in clamoroso ritardo di sviluppo e in carenza di unicorni. Anzi penso che avranno inevitabilmente ricadute negative sull’ecosistema.
A questo punto sarebbe meglio abolire il registro in toto, dicendo la verità: non abbiamo fondi per agevolare gli investimenti nelle startup (incentivo in regime de minimis al 50% è valso 146 milioni di euro nel periodo 2021-2023), motivo reale per il quale è stato inserito l’articolo 24, cioè tentare di ridurre la spesa, altro che favorire le startup “meritevoli”.
Poi però si scopre che serenamente li abbiamo per il Ponte sullo Stretto (13,5 miliardi di euro) e li abbiamo avuti per il 110% (circa 129 miliardi a marzo 2024).
Scelte politiche del Governo attuale e dei precedenti, ragionateci sopra.
ARTICOLO 25
La norma transitoria va a colpire le startup già iscritte retroattivamente, applicando anche ad esse i criteri dell’art. 24, dando due anni di tempo per adeguarsi.
ARTICOLO 28
Norma che a mio parere volge lo sguardo in una giusta direzione, cioè incentivare gli investitori istituzionali al VC. Il problema è nell’impatto e nella sostanza.
Prendiamo qualche numero: in Italia gli investitori istituzionali non sono sufficientemente coinvolti negli investimenti in startup perché hanno investito appena €360M in 10 anni.
Nel decennio 2013-2023 in Italia sono stati raccolti circa €2,4B di cui appunto €360M (15%) da investitori istituzionali e €1,2B (50%) da CdP e fondo europeo.
Se prendiamo l’UK come caso d’esempio, è stimato uno sblocco di oltre £50B di investimenti a fronte di asset per £3,6T da parte dei fondi pensione [1]. In Italia gli asset in gestione dai fondi pensione nel 2021 ammontavano a €310B [2].
Per ridurre il gap con gli altri paesi europei è necessario incentivare tali investitori ad allocare almeno il 5% del loro capitale gestito in startup a rapida crescita, possiamo così stimare un impatto di €15B derivante solo dai fondi pensione e senza contare gli altri attori istituzionali.
L’altro aspetto da evidenziare è che questo articolo non definisce su quali VC investire, giustamente, però non richiede nemmeno che i VC siano italiani o che investano in startup italiane. Quindi un punto di attenzione sicuramente da valutare è come far ricadere questi investimenti su startup italiane, ad esempio allocando questi fondi a CdP che è l’attore più importante dell’ecosistema italiano e può fare da collettore per gli investimenti.
Riferimenti
[1] La misura UK è stata annunciata dal governo inglese il 10 luglio 2023, attualmente in UK i fondi pensione investono meno del 1% del loro capitale.
[2] Le fonti dati per l’ammontare degli asset dei fondi pensioni italiani è report COVIP da comunicato stampa giugno 2022.
Ultima modifica di questo articolo: 13 Agosto 2024